martedì 3 gennaio 2012

01.01.2012 giornata avventura per l'oasi di Terjit

Sarei rimasto a Chinguetti più tempo se non fosse stato per la richiesta del visa per il Mali del quale Danilo abbisogna; pertanto il Nomade si infila sulla stessa pista affrontata pochi giorni prima, ma nel senso opposto di marcia ,dopo aver scambiato saluti e indirizzi mail con più atomi.
Il percorso mi sembra più a portata, ma mi rendo conto che è solo un fatto psicologico.
Il programma odierno prevede l'arrivo nella capitale Nouakchott dopo la visita all'oasi di Terjit, località che si raggiunge dopo 11 km. di pista della quale ho informazione fresche, ricevute dai francesi; in realtà loro, dopo aver osservato più attentamente l'altezza da terra del Nomade, mi hanno sconsigliato di percorrere tutta la pista, suggerendomi di fermarmi prima dell'attraversamento dell'ouedi, dove la pista non è più così dura. 
Con tutte queste informazioni in mente arrivo ad affrontare la pista rilassato, troppo rilassato, tanto da non rendermi conto di trovarmi già sull'attraversamento a rischio; ed è così che scendo sulla parte di pista assai stretta che attraversa il fiume un po' scoordinato, e, per mancanza di concentrazione, mi insabbio.
Non mi perdo d'animo, anche se capisco subito che da lì non si esce con le sole nostre forze; Danilo scende e cerca di liberare le ruote anteriori, il percorso da superare per trovare il duro è di pochi metri, solo la metà per la ruota dx. Animati da buona volontà, alle 11.30 iniziamo ad applicare le nostre capacità per liberarci, ma ogni volta che si guadagnano pochi cm. la situazione si modifica. 
Dopo aver messo in uso la pala, estraggo dal garage anche le due rampe che non sono proprio gli strumenti adatti, ma sono già qualcosa. Cerchiamo di predisporre una strada con delle pietre, come quelle che i legionari USPQR predisponevano per i loro carriaggi, ma senza ottenere apprezzabili avanzamenti. All'arrivo di un pick up penso di poter avere un aiuto, ma il conducente sostiene di non disporre di abbastanza potenza per poterci dare uno strattone utilizzando il mio cavo d'acciaio predisposto per casi di questo genere.
Passa ancora del tempo che serve esclusivamente a non far insabbiare ulteriormente le ruote anteriori; sappiamo che i gendarmi, quelli che ci avevano appena controllato prima di imboccare la pista, a questo punto sono avvisati della nostra situazione tramite il pick up che, non riuscendo a passare a causa dell'ostruzione del tracciato da noi provocata, inserita la trazione integrale, si sfila agevolmente di lato. 
Dopo circa un'ora da che siamo lì, in direzione opposta alla nostra arriva uno dei classici camion mauritani: vecchio quanto basta, logoro in ogni sua parte, caricato oltre ogni limite, con un certo numero di passeggeri impilati sopra al carico. Nessuno parla francese, ma capiscono bene che se vogliono passare prima va tolto l'ostacolo. L'autista, dopo essere venuto a controllare, lancia degli ordini ai suoi; questi scendono da lassù; dopo aver sganciato due pedane d'acciaio di cui sono dotati, le pongono fra le ruote anteriori e quelle posteriori del Nomade. Cerco di spiegare che la trazione è anteriore, quindi, secondo la mia logica, le pedane andrebbero messe davanti alle ruote anteriori. Mi fanno capire di salire e dare motore mentre loro si apprestano a spingermi da dietro. 
Il primo tentativo non decolla, allora mi raggiungono per accertarsi che contemporaneamente alla loro spinta io sia lesto ad accelerare. Al secondo tentativo, anche se ho sgonfiato i pneumatici per avere più grip, sento le ruote slittare, ma questa volta non smetto di accelerare e, con la spinta umana, riesco a raggiungere il duro. A questo punto loro vorrebbero ripartire subito, ma noi li preghiamo di attendere ancora pochi minuti, il tempo per trovare lo spazio per girarmi e portare il Nomade sul duro dalla parte opposta, quella nella direzione di Nouakchott. Loro fanno capire che stanno perdendo tempo prezioso, ma alla fine non ci negano questo aiuto, in modo tale da sentirci sicuri di essere già fuori pericolo quando torneremo dalla visita dell'oasi, per raggiungere la quale non ci restano che le bici. 
Dopo i ringraziamenti, mentre sto allungando qualche soldo all'autista che non ha fatto nessuna richiesta in proposito, passa una Mercedes 190, una delle tante sgangherate auto che circolano qui; questa però è speciale, perché reca a bordo la nipponica che, come ci vede nella criticità, fa fermare l'auto offrendoci un passaggio sino all'oasi. Dopo il salvataggio da parte dei Mauri, ora prende forma quello da parte di Natsuno: si prende al volo il passaggio, anche perché percorre questa pista ondulè, tutta in salita ,con vento contrario, nell'ora più calda della giornata, pigiando sui pedali, avrebbe potuto rivelarsi un suicidio.

L'oasi è molto diversa da qualsiasi altra vista sino ad ora, stretta in un canyon dalle pareti colorate, con un fondo sabbioso dal colore rossastro, dotata di una sorgente di acqua fredda ed una di acqua tiepida, tanto fitta di palme da respirare aria fresca al suo interno.
                                                                              


Nel percorso di ritorno, N. ci chiede se possiamo darle un passaggio sino alla capitale; certo che sì, però lei deve prima andare fino ad Atar (35 km.) a recuperare il bagaglio. Ci accordiamo per attenderla nei pressi del controllo di polizia, in modo da poterci rifocillare nel tempo che le serve per completare l'operazione, cercando di gonfiare i pneumatici. Sto giusto versando il caffè quando riceviamo una comunicazione telefonica che annulla il programma del passaggio. 
Ok, allora si parte, ma la prima operazione da compiere è ancora quella del gonfiaggio dei pneumatici; interpellato il gendarme della postazione, questi ci informa di un servizio Michelin (così è qui chiamato il gommista) sulla strada, dopo venti km.. In quel tratto ci sono diverse curve e, pur procedendo a velocità ridotta, il Nomade non è stabile. 
Trovato il Michelin, il personale si da subito da fare; peccato che il compressore, un rottame che ha già affrontato tutte le battaglie di una vita, è incerottato in ogni sua parte, ciononostante spiffera aria e non riesce a portare in pressione i pneumatici. Accetto la situazione e riprendo a viaggiare sotto di 1,5 atmosfere (3 anziché 4.5), cercando di compensare con la velocità che mi impongo di mantenere moderata sino alla prima città che si trova a 165 km.. 


Così facendo il buio ci coglie quando ci troviamo ancora a 330 km. dalla meta: pertanto rischiamo di vederci imporre la sosta per la notte in un qualche posto di blocco! Di controllo in controllo arriviamo nella città dove il Michelin non è comunque in grado di sistemare correttamente le atmosfere, però le rinforza tanto da darmi sicurezza e consentirmi di essere più veloce. 
Ora il buio è profondo e si pone il problema degli sfareggiamenti: incontro veicoli dotati di un solo faro, altri che hanno in funzione solo gli abbaglianti, la maggior parte però è vero che ha i fari, ma anche nella posizione anabbagliante funzionano da abbaglianti! Per fortuna che il traffico è scarso; infatti, l'unico vero pericolo è dato dal passaggio di un dromedario, in quanto sono talmente concentrato e ipnotizzato dalla strada per cercare di anticipare eventuali buche che solo l'urlo di Danilo mi consente di frenare e cambiare traiettoria, evitando così un possibile impatto. Superato il momento, ci pensa l'adrenalina a fare il resto. Così, con grande lucidità, arrivo a Nouakchott passate le 22, dopo sei ore di guida costante dall'oasi, dove il Nomade trova riparo sicuro per la notte al Menata, dove ritrova parecchi atomi con i quali si era già attratto in precedenza.
Non me la sento nemmeno di docciarmi subito, tanto meno di pensare alla cena. Invece Danilo, dopo la doccia, ritrova energie e si lancia in un riso da accompagnare agli avanzi della sera precedente; alla fine mi lascio coinvolgere e mangio anch'io, non senza soddisfazione, pensando che qui ogni giornata rappresenta il percorso di una vita, giocata sulla casualità di ciò che ti può o non ti può accadere esclusivamente per una frazione di secondo in più o in meno trascorsa in una logistica anziché un'altra.




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