Lunedì
04.02 – La situazione del terreno stamane non era cambiata, però
la pioggia aveva smesso di cadere.
Ad
un certo punto Rudi, Volvo camperizzato Alemania, mi ha avvicinato
per impostare l'operazione del recupero mentre Rita, la moglie,
riprendeva alcune immagini che mi verranno poi girate via mail.
Per
chi volesse sapere di più dei miei salvatori segnalo di seguito il
loro sito www.menrad-international.com
Come
immaginavo solo con un veicolo del genere a disposizione è stato
possibile ottenere un risultato positivo.
Devo
riconoscere che questi tedeschi non solo sono ben organizzati, ma in
più usano materiali di qualità.
Inizialmente
avevamo collegato un cavo d'acciaio in mia dotazione garantito per
poter tirare 5.000 kg. ad una delle lunghe cinghie di R&R, ma
appena queste sono andate in tensione è saltato il cavo d'acciaio
collegato allo chassis del Nomade.
La
stessa operazione è stata allora ripetuta con due cinghie collegate
fra loro da un gancio, tutto in dotazione R&R: questa volta, pur
continuando a sentire girare su se stesse le ruote anteriori del
Nomade, con la forza del potente traino finalmente sono riuscite a
guadagnare terreno un po' più solido.
Una
volta sciolto l'aggancio il Nomade ha proseguito in retromarcia sin
quasi a raggiungere l'asfalto della strada, ma ancora una volta si è
messo a pattinare: in questa circostanza è bastato aiutarlo a spinta
per venirne fuori.
Grandi
abbracci sia con Rita che con Rudi i quali hanno voluto minimizzare
l'evento come si fa fra persone che condividono qualcosa: ciò
normalmente basta a sentirsi partecipi e vicini.
Libero
dall'affondamento nel prato ho subito deciso di avvicinare la
frontiera, consapevole che sarebbe stato preferibile iniziare la
trafila di primo mattino ed oramai ciò non è più possibile se non
attendendo un altro giorno.
Prima
di raggiungerla ho ripercorso in parte la strada che Ford Explorer
con il gruppo dell'anello a bordo aveva percorso pochi giorni fa,
rivivendo con i ricordi quei brevi attimi.
Per
uscire dal Belize è stato semplice (pagando una tassa
all'immigration di 37,50 B$) mentre per il veicolo si è trattato di
lasciare negli uffici doganali il documento che aveva autorizzato il
Nomade a circolare, annullandone il suo carico nel mio passaporto.
I
confini sono sempre luoghi degradati, ed anche questo lo è, anche se
forse meno di altri.
In
Guatemala, dopo il lavaggio dei pneumatici avvenuto in maniera
tecnologicamente più avanzata rispetto a quello effettuato
all'entrata in Belize, ho parcheggiato per poter svolgere tutte e
pratiche senza subir l'assalto dei vari tirapiedi che qui non ho
proprio visto.
L'immigration
ha riscosso subito la propria quota, quindi mi sono accinto ad
effettuare la temporanea importazione con dei funzionari che non ne
avevano tanta voglia. Procurate le fotocopie che mi sono state
richieste sia del passaporto che della patente e del libretto di
circolazione, finalmente uno dei due ha prima effettuato una leggera
ispezione a bordo, quindi ha lavorato al computer mentre io compilavo
un modulo; prima di andare alla banca a pagare ho voluto controllare
i dati stampati rilevando un errore sul V.I.N. così l'addetto ha
potuto sistemare la cosa ristampando il modulo.
Successivamente
ho ritirato i documenti mentre lo stesso addetto è risalito a bordo
per appiccicare personalmente sul parabrezza l'autorizzazione.
Circa
la copertura assicurativa dovrò recarmi a Flores per vedere di
ottenerla, ma non è detto, e ciò a causa dell'età del Nomade.
Prima
che venisse alzata la sbarra per farmi passare un altro controllore
ha voluto i documenti appena ottenuti per una registrazione manuale
effettuata su un tavolinetto lì a fianco: passare il confine
guatemalteco è costato complessivamente 230 Quetzales (1 USD = 7 Q)
e meno tempo di quanto potessi immaginare.
Ancora
pochi metri e da una garitta è uscita una tipa informandomi che il
ponte da superare ha un costo: mi ha sparato 50 Quetzales ma la
ricevuta che mi ha messo in mano era relativa ad un importo
inferiore.
Quando
l'ho fatto notare, facendo finta di non aver capito mi ha regalato
altre due ricevute per raggiungere l'importo complessivo già pagato,
esattamente come mi era capitato in Senegal al porto di Dakar: luogo
che vai usanza che ...ritrovi!
Il
primo approccio con le strade è stato positivo, salvo la solita
mancanza di slarghi ove poter effettuare anche una breve sosta,
essendomi imposto di cercare di non mettere mai più le ruote sul
prato che talvolta si trova di fianco.
L'orario
sarebbe stato quello giusto per una pausa pic nic ma ho dovuto
attenere sino a El Cruce per trovare la possibilità di sosta:
arrivato alle 13.55 sono ripartito alle 14.10 convinto di trovare
strada pessima da lì in avanti.
Invece
è stato prima che ho trovato dei tratti non asfaltati e molto mal
messi, dopo è stato un sogno.
A
circa 20 km. da Tikal sito archeologico inizia il Parco Nazionale che
lo contiene: qui si tratta di pagare un biglietto per potervi
accedere, ma le guide in servizio alla sbarra mi hanno invitato ad
attendere le 15.30 per poter accedere al costo del biglietto valido
già per domani.
All'interno
del Parco non c'era movimento a quest'ora, salvo rari minibus
rientranti alle loro basi di partenza; la strada in salita è immersa
nella vegetazione ed i segnali evidenziano il possibile
attraversamento di serpenti, racoon, jaguari e similtacchini (qui chiamati Pavo Ocelot).
Giunto
a destinazione ho cercato di capire dove potrebbe trovarsi il
campeggio che so, dalla lettura del libro di Church, trattarsi
giustappunto di un prato.
Sbagliando
mi sono invece trovato al Tikal Inn e lì ho chiesto di poter
parcheggiare; il giovane Abner, 21 anni, in servizio alla reception,
mi ha risposto in italiano avendo avuto un insegnante sardo!
Una
volta accordatomi prima mi sono deciso a mettere un po' d'ordine
riponendo tutti i cavi utilizzati in mattinata, poi ho voluto
sgranchirmi le gambe effettuando un giretto quando ormai non c'era in
giro proprio nessuno, salvo dei similtacchini dai colori sgargianti
ed una coppia tedesca che avevo notato al confine perché sta
effettuando il proprio viaggio su un cavallo d'acciaio.
Entrare
in un paese sconosciuto passandone il confine come deve fare il
Nomade, con tutti gli annessi e connessi, è sempre una prova
laboriosa che la pigrizia mentale non vorrebbe affrontare, tendendo a
rimandare; in questi casi è una certa forma di pragmatismo che
aiuta, e poi, quando si è scesi in pista si è costretti a ballare
anche se non si è tanto bravi!
Da
oggi quindi è cominciata una nuova avventura.
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