venerdì 30 dicembre 2011

28.12.2011 Nouadhibou & Cap Blanc



Durante l'escursione mattutina effettuata a piedi per il centro della città (altre fotocopie dei documenti personali, l'acquisto di una scheda telefonica mauritana con relativa ricarica, l'acquisizione di info su copertura RCA per Mali e Senegal) avviene il contatto con la realtà locale, e ciò suscita in me un forte senso di inadeguatezza.
Dovunque giri lo sguardo non ritrovi nemmeno un mezzo parametro di quelli che normalmente ho in uso durante i miei viaggi: qui è tutto mischiato, come la stessa polvere sabbiosa che si muove nell'aria.
Macchine scassatissime che viaggiano suonando il clacson per attirarti a bordo (sono taxi, non so se abusivi o meno), rifiuti di tutti i generi a lato strada utilizzati come mangiatoia da capre libere che, così facendo, si garantiscono la sopravvivenza, salvo restarci secche ogni tanto,

attività commerciali svolte in baraccopoli di lamiera e legno, asini minuscoli costretti a tirare carretti carichi di ogni cosa, incluso il conducente che non lesina l'uso della frusta, altoparlanti dislocati in varie posizioni che continuano a diffondere arringhe di qualcuno (probabilmente prediche islamiche), 


spazi urbani fra un agglomerato e l'altro usati come discariche dove vengono parcheggiate piccole mandrie di vacche dall'aspetto tendenzialmente depresso, ragazzini che giocano a calcio su terreni scoscesi, sassosi e polverosi, a differenza della squadra di prima serie che dispone invece di un campo con erba sintetica; 


nella zona del porto si unisce anche l'odore intenso del pesce messo a seccare, oltre a quello dell'altro, fresco, costantemente scaricato dalle piroghe e portato a terra da uomini che entrano ed escono dall'acqua (livello del torace) per farsi sotto bordo e ricevere una cassa da portare a spalla in un opificio “ocean front”, ragazzine che non frequentano la scuola e si muovono vezzose nella favela sulla spiaggia, con gomma da masticare in bocca, desiderose di farsi fotografare: 
a parte tutto questo, mediamente la gente è assai dignitosa, per nulla assillante.
Dopo la full immersion nel sociale del mattino, nel pomeriggio si decide per l'esplorazione di Cap Blanc, regno della foca monaca. 
Dopo il percorso sul goudron, c'è la pista desertica ad attenderci: questa viene affrontata con le bici, e vi assicuro che l'esperienza non la dimenticherò tanto presto. Fra ondulé, sabbia dura, fondo di torrente pietroso, sabbia morbida nella quale ci si impantana regolarmente rischiando la caduta, piccole pendenze in salita e discesa che con i rapporti corti ti mettono a dura prova, il tutto inserito in un paesaggio per niente incoraggiante finché si vede il faro a forma intera, che risulta inavvicinabile per la presenza di una sbarra.
Subito si materializza il guardiano di questa entità fuori dal mondo, dove, in tutto il percorso, non si è incontrato un'anima viva. Ci illustra i pregi del sito, e quando capisce che siamo interessati alla visita (dopo tanta fatica mica te ne puoi andare così alla chetichella) chiede il costo dell'ingresso: 1.200 ouguiya cadauno, circa € 3,50, con rilascio di tanto di ticket ufficiale. 
In compenso ci indica dove poter incontrare la foca monaca, unica residente fra gli scogli della zona.
In questo habitat la vista può spaziare a 360° restandone appagata: le alte falesie rosate, gli scogli, il mare color smeraldo, le piroghe dei pescatori al largo, impegnate nella pesca, il sole già proiettato verso il tramonto, il faro, e poi lei, la fochina (che poi tanto fochina non è), che si è fatta vedere fra un'immersione e l'altra, ma, come da usanza locale, non ha voluto farsi fotografare.

Ormai il sole è sparito dietro una coltre di nubi, il buio arriva presto e il percorso da coprire è impegnativo, specialmente al buio. In un certo senso va meglio perché, a parte gli insabbiamenti inevitabili, non vedendo chiaramente e usando rapporti cortissimi, sei costretto a pedalare di buona lena costantemente concentrato, mentre all'andata, quando si prendeva la sabbia era inevitabile osservare la traiettoria per cercare di stare in piedi, perdendo concentrazione.
Finalmente incrociamo il goudron e, poco dopo, ritroviamo il Nomade ad attenderci.
Rientrando in città, fra le vie del centro non illuminate incrocio due vacche (che associo alla mandria di stamane); stanno vagando senza una meta precisa, e gli automobilisti le aggirano come birilli, sfiorandole: ma non apparterranno a qualcuno?



Nessun commento:

Posta un commento