Venerdì 04; La giornata è iniziata subito confezionando per me esperienze forti; davvero non so se sarò capace di esprimerle on line, seppur in minima parte.
1) visita al confine fra Thailandia e Myanmar.
Il border è costituito dal fiume Moei e ad unire i due paesi confinanti vi è un ponte chiamato dell'amicizia fra le due nazioni.
Ciò non ha reso più semplici i collegamenti nel tempo a causa di lunghi periodi di chiusura imposti alternativamente dalle autorità competenti su ciascuna sponda.
A volte il passaggio resta chiuso per consentire ai governativi Myanmar azioni di rastrellamento con la connivenza dei Thai, così come con la stessa connivenza sono stati consentiti attacchi armati ai campi dei rifugiati politici in territorio Thai.
I problemi innescatisi con i movimenti delle popolazioni sono diventati irrisolvibili, anche perché c'è una grande convenienza a mantenerli irrisolvibili.
Il prossimo giorno 13 è una data importante in queste aree: rappresenta l'inizio dell'anno 2558 secondo il calendario buddhista.
Per questo motivo molti birmani, quelli che in qualche modo possono, stanno rientrando nelle loro terre per raggiungere i villaggi di origine, le loro famiglie, dove trascorrere giorni santificando la festa.
Dal centro di Mae Sot al confine è pieno di polizia che effettua controlli; in realtà il grande dispiegamento di forze è fatto per incassare tasse non scritte, importi variabili da spillare ai birmani.
A seconda di quanto il singolo è lontano da una posizione legale, posizione che quasi nessun birmano detiene, viene determinato l'obolo.
Qui sto parlando di migranti birmani per motivi economici, gli stessi che devono "pagare" la loro mobilità sul territorio in funzione di come questa avviene, gli stessi che devono pagare per poter trovare un posto di lavoro sottopagato e senza diritti, quasi sempre saltuario, gli stessi che in caso di disputa con i locali sono gli unici ad essere arrestati e a passare delle grane aggiuntive, gli stessi che devono arrangiarsi a trovare una sistemazione: per la maggior parte l'unica possibilità è quella di una capanna improvvisata e senza alcun servizio a disposizione.
Quando il birmano entra in questo circuito è come se vendesse l'anima a Faust: diventa schiavo anche senza esserne consapevole per quanto il proprio stato di necessità ha preso il sopravvento su tutto: “devo lavorare per avere i soldi che servono per il cibo, devo lavorare per mandare soldi alla famiglia, devo sopravvivere perché chi è rimasto al villaggio conta su di me”, questo è il filone di pensiero che anima il birmano.
L'affollamento che ho visto sul confine mi ha fatto venire in mente qualche girone dell'inferno dantesco: misere capanne dappertutto, bambini piccolissimi seminudi lasciati soli e razzolanti nella polvere mentre i genitori sono impgnati altrove nella ricerca di cibo, un flusso umano continuo rappresentante ogni fascia di età di entrambi i sessi indirizzato verso i quindici attraversamenti clandestini lungo il fiume; invece una quantità modesta di persone indirizzata al ponte, quelle dotate di documenti per un attraversamento legale.
Anche se il fiume non è largo per attraversarlo bisogna usare delle barche: sono tutte Myanmar, e in questo periodo stanno lavorando senza tregua: è impressionante osservare gli umani coinvolti in questi movimenti.
E' come il percorso delle formiche, solo che loro sono più ordinate: qui tutte le persone si accalcano in una fila ad imbuto in territorio Thai sino all'imbarco; poi l'imbuto si capovolge nel momento in cui le persone sbarcano e si apprestano a risalire la sponda del fiume in territorio burma.
Dopo tutto si disperde alla vista quando la gente penetra nelle via di Myawadi, la città in territorio burma che si contrappone a Mae Sot.
Dalla parte del fiume dove non ci sono gli attraversamenti che ho descritto, fra questo e la strada vi è una fitta vegetazione dentro la quale si intravvedono capanne che sono di altro tipo: questo è il territorio del contrabbando ed è considerato zona ad alto rischio.
Sul bordo della strada i birmani hanno realizzato un mercato open air dove vendono qualsiasi cosa contravvenendo alle leggi Thai in materia: per quanto mi è stato dato vedere in particolare liquori, sigarette, viagra contraffatto, dvd a contenuto pornografico etc. etc..
Le due parti sono accomunate dal degrado in cui tutto permane, degrado che la gente non è nemmeno in grado di percepire perché rappresenta la normalità entro la quale svolgere la propria vita.
2) Visita a Mae Tao Clinic.
Durante le mie indagini conoscitive sul web effettuate nei mesi scorsi ero venuto a conoscenza dell'esistenza di questa nobile iniziativa; per me è stato un “must” volerla visitare e offrire un contributo economico alla causa.
M.T.C. è un'organizzazione basata sulla comunità che serve i migranti e i rifugiati birmani lungo il confine birmano-thailandese e i pazienti dalla Birmania che attraversano la frontiera per ottenere l'assistenza sanitaria. La clinica, realizzata su iniziativa di un medico riparato qui da tempo, tratta più di 75.000 pazienti ogni anno, la maggior parte dei quali non hanno altro accesso all'assistenza sanitaria.
M.T.C. funziona anche come centro di formazione regionale per operatori sanitari di comunità affinché questi possono acquisire le competenze e la leadership per aiutare autonomamente le loro genti.
Inoltre è attivo un programma di protezione per i bambini che consente a migliaia di loro di accedere alla sicurezza sociale e all'istruzione.
L'organizzazione è cresciuta dal 1989 quando si è costituita e si regge interamente su sovvenzioni e donazioni.
La motivazione alla visita è stata quella di lasciare i medicinali che mi ero portato in viaggio ed effettuare una donazione a titolo personale per la quale ho immediatamente ricevuto una lettera di ringraziamento firmata da Cynthia Maung, l'animatrice dell'iniziativa, contenente indicazioni per rimanere aggiornato in vari modi: visitando il sito e iscrivendosi alla mailing list www.maetoaclinic.org, o seguendo Facebook: www.facebook.com/maetoclinic.
Sono stato accompagnato nella visita affinché potessi rendermi conto di quanti reparti sono operativi e per avere delle risposte ad alcuni miei quesiti: indagando sul web ero rimasto incuriosito dalla operatività in clandestinità che viene affidata a specialisti per entrare in territorio burma ad assistere chi non è in grado di muoversi.
Non ho voluto prendere foto dei degenti, fatto salvo chi si è reso disponibile a dialogare; sono stato in un cosmo dove la sofferenza ne è parte integrante, dove si creano degli accampati al seguito del paziente, dove i bambini sono una presenza costante, dove scorre la vita di molte persone, sia di quelle che sono lì per dare che di quelle che sono lì per ricevere.
Per non dimenticare l'argomento sempre attuale ma del quale spesso non si tiene conto: il primo paziente che ho incontrato aveva subito danni corporali per lo scoppio di una mina; il territorio burma di confine ne è pieno, il che ha reso non lavorabili molti terreni da parecchio tempo, oltre a non essere attraversabili se non a rischio della propria vita.
Al momento della mia visita ho visto all'opera medici volontari provenienti dall'Europa, ma ho saputo che quella dei medici è una catena con anelli che portano il marchio di vari paesi in grado non si spezzarsi mai
Fra le varie targhe esposte con i nomi dei donatori più significativi sono rimasto sorpreso nel vedere almeno una scritta in italiano, quella di “A ray of hope” (organizzazione che non conosco) che nel proprio logo riporta: “aiutare senza confini/helfen ohne grenzen”.
3) Visita ai villaggi dai quali affluiscono studenti birmani ad una scuola faticosamente tenuta in piedi per loro con il supporto di Krio Hirundo, una Onlus italica della quale è principale promotrice Nadia Zampieri.
Grazie alla conoscenza di questa iniziativa avvenuta tramite viaggiatori italici incontrati casualmente a Mawlamyne nel sud del Myanmar avevo successivamente dialogato con Nadia proprio alla vigilia del suo rientro in Italia coincidente con la fine dell'anno accademico della scuola.
Anche senza poter contare sulla sua presenza in loco avevo in mente di visitare quella iniziativa ed il più grande campo di rifugiati politici birmani esistente in territorio Thai nella circoscrizione di Mae Sot, senza sapere esattamente quali difficoltà avrebbe comportato l'operazione.
Anche Air Asia si era messa di traverso complicandomi la vita, ma soprattutto il campo, che non è avvicinabile da stranieri se non a determinate condizioni, aveva subito ripetuti incendi dovuti al sistema di cucinare della gente ed al sovraffollamento, motivo per cui era stato temporaneamente chiuso dalle competenti autorità.
Al momento del mio arrivo a Mae Sot ancora non sapevo se sarebbe stato possibile arrivarci.
Ora però è il momento di parlare della scuola e dei ragazzi che la raggiungono da villaggi non proprio vicinissimi grazie ad un servizio pick up organizzato per loro: certo, non sotto casa come siamo abituati a vedere dalle nostre parti, ma nel raggio di un paio di chilometri dalle residenze sì, chilometri che i ragazzi devono scarpinarsi a piedi su e giù per le montagne anche perché il veicolo non sarebbe in grado di percorrerli per la conformazione della strada, specialmente nella stagione delle piogge, quella che poi dura per la maggior parte dell'anno scolastico.
Arrivando da Mae Sot la scuola si trova a circa 35 km. ed è posta alle pendici di montagne che rendono il clima meno faticoso da sopportare.
La struttura è ben lontana dagli standard di una qualsiasi scuola di campagna nostrana, per quanto questa possa essere mal ridotta: ciononostante un manipolo di tredici insegnanti, incluso il preside, vi svolge quotidianamente un lavoro egregio a vantaggio di oltre 300 studenti birmani comprendenti i livelli che vanno dal primo all'ottavo.
Per poter far funzionare sotto ogni aspetto la struttura servono fondi, sempre più difficilmente reperibili per piccole iniziative come questa da quando le NGO hanno spostato la loro attenzione all'interno del territorio burma in coincidenza con le prime aperture concesse dal governo in carica durante gli ultimi tre/quattro anni.
La scuola è rimasta chiusa per qualche tempo sino a che ne è venuta a conoscenza delle problematiche Nadia, da tempo operativa nell'area di Mae Sot dove circa 200.000 burma people ha scelto di cercare una propria strada per sopravvivere.
Si è trattato allora di far ripartire l'iniziativa per non lasciare indietro quei ragazzi che già avevano dato dimostrazione di voler apprendere per poter stare al mondo alla pari degli altri.
Inoltre è stato organizzato un sistema di monitoraggio sanitario a favore della salute dei ragazzi che è andato ad accoppiarsi con l'istruzione che ricevono.
Ora che ho visto con i miei occhi dove questi vivono ho meglio compreso l'organizzazione dell'orario della scuola: questa svolge anche la funzione di doposcuola per consentire ai ragazzi lo svolgimento dello studio e dei compiti che nelle precarie capanne dove trovano ricovero per la notte, prive di qualsiasi servizio (no elettricità, no acqua), non è possibile, oltre a fornire un pasto caldo assicurato tutti i giorni.
Per mantenere attivo questo virtuoso meccanismo ci vuole ben altro che i soldi: serve l'abnegazione di tutte le persone coinvolte ad ogni livello.
Ho saputo che gli insegnanti percepiscono un salario che è circa un terzo rispetto a quello di un insegnante operativo in una scuola Thai, eppure ognuno dei 13 continua la sua missione!
Il governo Thai riconosce queste strutture dal punto di vista didattico ma non concede loro nemmeno mezzo bath del proprio bilancio per cui Nadia è costantemente assillata dalla ricerca dei fondi necessari al funzionamento dell'intero meccanismo, occupandosi anche di migliorare le condizioni di lavoro delle famiglie.
Perché io immaginavo che queste stessero in villaggi di tipo Thai, invece sono sparpagliate per le montagne ed occupano dei ripari che esprimono tutto il senso della precarietà della vita di questa gente: oggi possono trovare da lavorare la campagna qui, poi per una settimana più nulla prima che ci sia la possibilità di una chiamata per laorare una giornata altrove.
Il salario di una giornata di lavoro nei campi è mediamente pari a 120 bath, meno di € 3 al cambio corrente, e questi devono farseli bastare per vivere nell'intervallo fra una giornata di lavoro ed un'altra successiva che non si sa mai se ci sarà e quando ci sarà.
Nella zona i proprietari terrieri Thai stanno usando il lavoro a basso costo dei burma per guadagnare alle coltivazioni terreni impervi dove il lavoro è tutto rigorosamente svolto a mano.
Ora ho capito cosa può voler dire in termini di rischio lasciare da soli dei bambini in questi accampamenti fuori dal mondo mentre i genitori si spostano per intere colline alla ricerca di lavoro: è una vita difficile per tutti, ed i bambini rappresentano la fascia maggiormente esposta; ne spariscono diversi ogni mese, probabilmente rapiti da gente senza scrupoli che traffica nella vendita di organi vitali ed altro.
Questa è la normale vita accettata e vissuta dai burma in territorio Thai; mi chiedo di che cosa stiamo parlando nel suolo patrio quando quotidianamente sento salire il cicaleccio su argomenti che perdono valore osservati da questa realtà.
Si tratta di una reltà che forse il Papa attuale, considerato comunista perché si rifà alle parole essenziali del primo comunista storicamente conosciuto, un tale Joshua da Betlemme o Nazareth dopo la sua morte meglio conosciuto come Gesù Cristo, parole successivamente riportate nei Vangeli approvati dalla Chiesa, fra le alte personalità del mondo è in grado di decifrare e comprendere, ma il fare qualcosa per gli altri appartiene alla sfera della buona volontà di ogni umano che intenda vivere responsabilmente la propria vita senza necessariamente voler apparire o pretendere di appartenere ad una schiera di eletti.
A volte può essere sufficiente conoscere le problematiche e fornire supporto economico per risolverle a chi opera ogni giorno dell'anno sul campo per propria scelta, organizzazioni che destinano ogni centesimo ricevuto alla realizzazione di progetti umanitari senza aggravio di costi per il mantenimento di strutture, organizzazioni di volontari allo stato puro, come quelle con le quali mi è venuto spontaneo collaborare assumendomi i costi personali dei trasferimenti e dedicando il mio tempo alla realizzazione di progetti concreti.
Sabato 05; Stamane sveglia all'alba per raggiungere Mae La Camp, il più grande campo di rifugiati politici di varie etnie burma - circa 50.000 persone fra Chin, Kachin, Karen, Lahu, Mon, Shan - sito a 70 km. da Mae Sot in direzione di Mae Sariang.
Questo è il racconto della mia giornata.
Lungo la strada Saw ha ricevuto una comunicazione telefonica da parte di una persona che chiamerò convenzionalmente Young Boy (meglio evitare di indicare i nomi reali perché si tratta di persone che corrono costantemente il rischio di perdere la propria vita a causa delle incursione "concesse" dai Thai ai governativi burma all'interno dei campi).
Il contenuto della conversazione era inerente ad un incendio in corso che avrebbe reso impossibile il mio ingresso, per quanto di starforo, nel campo.
Si vede che doveva andare così, ho pensato; ho comunque invitato Saw a continuare il viaggio con l'idea di rendermi conto dall'esterno della realtà.
Mentre si procedeva su una bella strada in avvicinamento alle montagne Saw mi ha proposto di penetrare nel campo per raggiungere subito una casa amica in posizione defilata e magari verificare la possibilità di una breve escursione in un'area meno a rischio, quella del monastero esistente all'interno del campo.
Per me questa soluzione era più di quanto mi potessi aspettare ed ho subito assentito; ora però bisognava parlare nuovamente con Young Boy per capire se fosse realmente praticabile.
Dopo un pò Young Boy ha detto sì, che si poteva fare, ma che avrei dovuto camminare veloce e senza macchina fotografica in vista durante gli spostamenti interni al campo.
In aggiunta ci ha invitato a consumare un lunch che sarebbe stato preparato in un'altra casa localizzata nel campo in posizione favorevole alla mia incursione.
Lungo la strada ho visto sempre più posti di blocco che il pick up di Saw ha superato agevolmente.
Ho così appreso che ad ogni colore di pick up corrisponde una determinata tipologia di trasporto autorizzato: quello scuro di Saw è idoneo al servizio scolastico e gode di qualche vantaggio in più nei controlli delle forze dell'ordine.
Inoltre Saw, quando lavora, si veste come un Thai evitando di evidenziare segni caratteristici della sua appartenenza all'etnia Karen.
Lungo il percorso di avvicinamento ci sono state altre comunicazioni telefoniche che ogni volta hanno aggiunto qualche indicazione, sino all'ultima, quella indicante il punto in cui sarei sceso dall'auto trovando un varco illegale dove Young Lady con bimba al collo, la moglie di Y.B., mi avrebbe fatto da guida sino alla casa deputata all'incontro.
La giovane coppia è sposata da tre anni e vive nel campo da otto; la loro zona di provenienza è Han Pa, area della quale conservo un ottimo ricordo: lì avevo riscontrato una grande diffusione di immagini di Aung San Su Kyi a dimostrazione dell'insofferenza di quelle genti per la dittatura militare.
Young Lady parla un ottimo inglese, imparato all'interno del campo da volontari U.S. e Australia con i quali ebbe a che fare nel periodo della loro presenza tendente alla realizzazione di un progetto: oggi insegna inglese in una delle varie scuole esistenti.
Perchè le 50.000 persone che vi abitano sono veramente tante: ci vorrebbero almeno due giorni per visitare le tre sezioni nel quale è organizzato il territorio con scuole, infermierie e punti distribuzione cibo.
Questo arriva con regolarità fornito dall'Unione Asiatica (riso e granaglie varie); chi è più fortunato dispone di qualche gallina che ho visto razzzolare, altro in proposito non so.
Quello che ho appreso è che solo una piccola parte è dotata della documentazione necessaria per poter uscire a lavorare; questa è quella che se la passa "meglio" tenuto conto della situazione.
Y.B. è attualmente insegnante di matematica e parla l'inglese con qualche difficoltà; la casa dove dopo un pò mi ha raggiunto Saw appartiene ad un esule dotato di documenti il quale trova saltuariamente lavoro a Bangkok.
In realtà ho poi scoperto che è un modo di dire "lavoro a Bangkok": sta semplicemente ad indicare "lavoro fuori dal campo".
Per questo motivo gli era stato possibile preparare per noi un lunch "ricco" a base di riso, verza e pesce fritto al quale hanno partecipato solo gli amici di Saw, Y.B. & Y.L..
Durante tutto il tempo ho cercato di capire qualcosa in più sulla vita all'interno del campo, ma devo onestamente dire che è talmente complicata da chiedersi come possa essere possibile che una massa così elevata di persone la accettino.
Più ottenevo risposte alle mie domande più la situazione mi sembrava struggente: mancanza di prospettive per gli adulti, ancora meno per chi vi nasce essendo considerato apolide.
Perchè i Thai non concedono di uscire se non hai il paswsaporto, questo lo potrebbe rilasciare eslusivamente il governo Myanmar che proprio non ne ha alcuna intenzione, inoltre spesso i villaggi di provenienza non esistono più, sono stati bruciati dai governativi e minato il territorio circostante, per cui non vi è alcuna traccia dell'esistenza di un individuo nato lì.
Praticamente non esiste più: no documenti, no villaggio dove ipoteticamete tornare un giorno, no terre per la garantire la sopravvivenza perchè minate.
In queste condizioni è impensabile pensare di migrare in altre nazioni o diventare legali in Thai; nemmeno è possibile iscrivere il proprio nome in un programma organizzato dagli australiani che è riuscito a portare diversi Karen in quel continente offrendo loro l'inserimento in territori marginali, ma dando loro la legalità che vuol dire prospettive per il proprio futuro.
A differenza delle residenze delle famiglie degli studenti viste ieri, quelle che sono state realizzate qui sono più curate anche perché sono utilizzate stabilmente nel tempo, ma sono ammassate una sull'altra.
Dopo il lunch sono stato accompagnato ad effettuare un veloce percorso circolare sino alla scuola retta dai monaci e poi al monastero, mentre rientrando ho potuto visitare la casa di Y.B. & Y.L., una misera costruzione con falle sul tetto così come è misera la loro personale posizione economica.
A questo proposito ho spiegato a Saw che al mio paese se ricevi un invito nella casa di qualcuno è buona norma non presentarsi a mani vuote, ricevendo inizialmente la risposta che non avrei dovuto preoccuparmi.
Ma io ho insistito, soprattutto dopo aver constatato di persona che questi ragazzi non hanno proprio nulla se non loro stessi e la propria bimba, ricevendo il consiglio di elargire del denaro.
Sfortunatamente ero in quel momento a corto di valuta locale ed avevo pensato di lasciare degli U.S.D., ma poi ho pensato che per loro sarebbe stato molto complicato poterli trasformare in Bath, così ho dato fondo a quanto mi era rimasto pur nella cosapevolezza che avrebbero avuto bisogno di ben altro.
Le operazioni per lasciare il campo sono state pianificate in modo tale che Saw è partito per recuperare l'auto e al momento opportuno ha lanciato un segnale al quale ho dovuto dare seguito quasi con una fuga, senza avere il tmpo per salutare nel modo dovuto Y.L., mentre Y.B. mi ha accompagnato lungo il percorso.
Per un bel pò di tempo sono rimasto immerso nei mie pensieri; ogni volta che pensavo a qualche cosa capivo subito dopo che non potevano essere le mie elucubrazioni portatrici di soluzioni praticabili a vantaggio della gente che avevo incontrato, tutte persone che mi sono apparse in grado di vivere con grande dignità la loro situazione rappresentata dall'abbraccio alla vita in una dimensione surreale.
Ho poi posto ancora domande a Saw, ma anche lui non è a conoscenza di tutti gli impedimenti burocratici che rendono tanto complessa la situazione dei rifugiati: mi sono fatto l'idea che solo un cambiamento deciso nelle politiche governative del Myanmar e accordi internazionali in sede O.N.U. con la benedizione delle gandi potenze potrebbero sbloccare la vita di queste persone: - ma ciò sarà mai possibile?
- e nel frattempo come mantenere viva la speranza dopo 60 anni da che è in atto la guerra dei governativi contro le minoranze etniche?
Ho trascorso poi qualche ora per le strade di Mae Sot come se mi trovassi all'interno di una camera iperbarica: dopo il forte impatto con quella realtà non era più per me possibile girare per la strade come se niente fosse e avevo bisogno di essere sottoposto ad un trattamento lento di sanificazione per evitare che mi partisse l'embolo della ribellione a tanta ingiustizia all'interno della quale mi ero mosso impotente per tante ore.
Alla fine ho trovato Borderline, uno spazio gestito senza scopo di lucro da donne di varie etnie burma dove sono esposte opere ed oggetti realizzati da persone che vivono lungo il confine;
mi sono concentrato nella sezione dei DVD, film realizzati da burma people per denunciare al mondo la storia quotidiana della gente comune del grande paese in mano alla dittatura militare e alle parentele della stessa da troppo tempo, stante l'appoggio storico di uno dei grandi che possono influenzare l'avvenire del mondo: non uno qualsiasi, la China!